Da tempo immemorabile i contadini di ogni parte d’Europa hanno usato accendere dei falò, i cosiddetti fuochi di gioia, in certi giorni dell’anno,ballarvi intorno e saltarvi sopra. Vi sono testimonianze storiche del Medioevo sull’esistenza di questi usi e forti prove intrinseche dimostrano che la loro origine si deve cercare in un periodo molto anteriore alla diffusione del cristianesimo.
Anzi le prime tracce o prove della loro esistenza nell’Europa settentrionale ci vengono date dai tentativi dei sinodi cristiani del secolo VIII di abolirli in quanto riti pagani. Non è raro che in questi fuochi si ardano dei fantocci (la vegia) o che si finga di ardervi una persona viva; e c’è ragione di credere che anticamente vi fossero davvero bruciati degli esseri umani.
Il fantoccio è formato di solito dai resti delle ultime potature. Bruciare questo pupazzo significa bruciare tutto ciò che rimane dell’anno vecchio, la natura rinsecchita viene a contatto con il fuoco-sole che rigenera la vita.
Le ceneri saranno sparse sui campi
Nei paesi dell’Alta Brianza (hinterland milanese) è molto vivo nella cultura popolare un personaggio intorno al quale convergono diverse leggende, usanze e credenze: è la Gibiana (o Giubianna). Alcuni credono che sia una sorta di Dea Madre caduta dal cielo, la rappresentazione della natura che morta viene bruciata per risorgere con il Nuovo Sole. Tracce di queste credenze accomunano queste usanze ad antichi riti di fertilità con un rimando alla Dea Brigit che proprio fra poco solcherà i cieli stellati di febbraio. La Dea portatrice di luce. Attorno ai grandi falò accesi, per chi non ha dimenticato di vedere e sentire ciò che la maggior parte degli uomini non percepisce più, non sarà difficile individuare tra una piega e l’altra l’Altro Regno, il mondo degli uomini e quello di luce sono come le pieghe di un mantello, e là dove si toccano era facile passare dall’uno all’altro. Questi grandi falò erano appunto considerati un varco per passare al di là. Questo è anche un momento propizio per incontrare le salamandre e gli esseri legati alla terra. Potremo vederle guizzare tra le fiamme, mentre il nostro corpo è inebriato dal profumo di vin brulè. Bruciamo via il passato e gettiamo tutto ciò che è stato negativo nell’ultimo anno nel fuoco e godiamoci la festa!
La festa della Giabiana viene festeggiata l’ultimo giovedì di gennaio. I bambini e i ragazzi del paese cominciano alcuni giorni prima a raccogliere legna nel bosco i “malgas” (fusti secchi di mais, rimasti nei campi dopo la raccolta delle pannocchie in ottobre) per formare un gran mucchio in piazza o su un’altura fuori dell’abitato. Preparano con stracci e bastoni un grande fantoccio di donna e, la sera dell’ultimo giovedì di gennaio, lo portano per le vie del paese in un corteo rumoroso battendo pentole, coperchi, grancasse rudimentali e quanti altri strumenti riesce loro di approntare. Infine lo bruciano in un grande falò, intorno al quale si grida, si scherza e si recitano filastrocche. Il gran rumore, elemento caratteristico di questa festa e le filastrocche hanno lo scopo di scacciare la Gibiana. Anni fa, e qualche volta i bambini lo fanno ancora adesso, nel pomeriggio dell’ultimo giovedì di gennaio, le “tolle” (latte) legate a una corda venivano trascinate per il paese e lungo i bordi dei campi, chiamando l’erba nuova a crescere. In alcuni paesi l’organizzazione è particolarmente curata: ad Albavilla il fantoccio della Gibiana è alto quattro, cinque metri e viene trasportato su un carro, seguito da gruppi di ragazzi incappucciati che fanno grande chiasso, oltre che da moltissima gente, fino ad una collina fuori del paese, dove viene acceso un gigantesco falò.
A Cantù (Mi) il fuoco si accende nella piazza principale e il fantoccio è più piccolo, dalle fattezze più delicate. Ad Albavilla si racconta che una volta i brianzoli, serrati dentro le mura di un castello, sotto la minaccia di un nemico, furono traditi da una donna bionda ed essi, per punirla, la bruciarono viva. Da allora tutti gli anni si brucia un fantoccio che ricorda quella donna. A Cantù, invece, la Gibiana rappresenta una bella ragazza che fu fatta ardere viva da un signorotto, al quale ella si era rifiutata. Ma la tradizione popolare dice anche il falò della Gibiana significa bruciare l’inverno, cacciare il “gennaio” che se ne va con le sue temibili gelate e prepararsi alla primavera imminente.
I “malgasc” sono infatti i residui del raccolto precedente, ripulire i campi da questi significa prepararli alla nuova semina e al nuovo ciclo vegetativo. Il falò della Gibiana libererà i campi dai moscerini estivi; chi non la festeggia sarà attaccato nell’estate da una nuvola di moscerini che non potrà scacciare. Una sagra di questo genere può essere associata alle cerimonie di bruciare la vecchia” o “arder la strega”, diffuse un po’ ovunque e collegate alla ritualità agraria sono cerimonie volte all’espulsione dei malanni e alla rigenerazione dei poteri.
Le feste del fuoco sono generalmente propiziatorie di fertilità ed ottengono questo effetto indirettamente, liberando la terra dai malefici influssi della stregoneria. Il bruciare nel fuoco un’effigie di strega esprime chiaramente l’intenzione primaria di distruggere o allontanare le streghe, che si considerano causa di quasi tutti i guai che possono accadere agli uomini e ai loro raccolti. La data in cui ricorre la festa della Gibiana, l’ultimo giovedì di gennaio, è particolare. Non coincide con le date delle feste del fuoco europee, ne con quelle del ciclo natalizio dell’Italia settentrionale che si conclude con l’Epifania o con Santo Antonio. Vero è che, dal punto di vista climatico, la fine di gennaio segna per questa zona l’allentarsi del freddo più intenso; con febbraio la vegetazione comincia a riprendere. Nei paesi della Brianza meridionale, la Gibina è conosciuta e si festeggia invece Sant’Antonio il 17 gennaio con il falò.
Nei paesi dell’Alto lago di Corno e in Valtellina si scaccia “Ginee” (gennaio) negli ultimi giorni del mese con scherzi e proverbi, ma non mi risulta ne venga arso il fantoccio. Per quanto questa cerimonia manifesti chiari segni di scadimento e di snaturamento dei suoi contenuti rituali, l’ipotesi più probabile è che la Gibiana fosse originariamente legata alla ritualità agraria ed avesse valore apotropaico-propreptico rispetto alla fertilità della terra.
Leggende e credenze intorno alla Gibiana
La Gibiana è anche una presenza o una strega. Ecco come viene descritta in alcuni racconti di tradizione orale. Durante la notte, quando nel cielo brillava la luna piena, sui tetti passava la Gibiana. Era una donna vecchia, molto alta, con piedi enormi, vestita di cenci, che portava sulle spalle una gerla con del fieno e diceva: “ose …ose”, spaventando i bambini. Altrove era vestita di bianco, faceva passi lunghissimi, da un sasso ad un altro molti distante, scavalcando le stalle e le cascine. Se le donne fossero state alzate la sera fino a tardi, avrebbero corso il rischio di vederla e di spaventarsi. La Gibiana si burlava delle ragazze da marito, mettendo mucchietti di crusca davanti alla porta delle loro case, segnalando così che un altro anno era passato senza concludere nulla. Per la sua festa si preparano piatti spèciali: risotto e “luganiga” (salsiccia) a mezzogiorno, un piatto viene lasciato sul camino per la Gibiana; la sera si cucinano castagne bianche con latte. Chi non mangia questi piatti corre il rischio di essere aggredito dai moscerini nell’estate.