Il 5 dicembre, in alcune zone dell’Austria, della Germania meridionale (Baviera), dell’Italia nord-orientale (Trentino-Alto Adige e Friuli-Venezia Giulia), della Croazia, della Slovenia e dell’Ungheria, si svolgono i tradizionali cortei dei Krampus, doppio oscuro di san Nicolò, residuo rituale delle “Perchten” (sfilate in maschera invernali che risalgono a tradizioni alpine pre-cristiane). In questo articolo analizziamo le radici folkloriche della ricorrenza e la sua riscoperta iconografica a cavallo tra XIX e XX secolo.
La sera del 5 dicembre, quando cala la sera e il freddo inizia a farsi pungente, adulti e bambini si riversano in strada per una festa che si svolge da secoli. Il sole è calato dietro le cime dei monti e l’oscurità sta per liberare delle forze diaboliche. Non sono le tenebre a spaventare gli abitanti dell’arco alpino, quanto le creature che vi prendono forma uscendo dalle foreste. Dal Trentino Alto Adige alla Germania, dal Friuli Venezia Giulia all’Austria, coloro che non sono stati buoni temono la pena che li attende: verranno picchiati con bastoni e fascine, rincorsi, strattonati, calpestati. Al culmine del rituale chiunque incontri queste creature dovrà essere più agile e veloce di loro nel fuggire ai loro artigli.
Ogni anno, il 5 dicembre, si ripropone infatti l’epica battaglia contro le forze del male. Solo la presenza del bene, incarnato per una sera nella effigie di un Santo, dominerà le creature della notte in modo che il rituale non degeneri nel sangue. I partecipanti devono ringraziare la secolarizzazione se non si consumano più gli antichi rituali nella loro forma più arcaica e se le forze infere non prevarranno strappandoli alle loro vite. Il rituale della religione ancestrale ha infatti ceduto il passo a una festa macabra che conserva solo in parte il simbolismo e i caratteri del culto primigenio.
Questa notte vede lo svolgersi di ciò che è sopravvissuto di un rituale la cui origine si perde nella notte dei tempi: l’avvento di creature demoniache vestite con pelli di animali, le gambe che terminano in zoccoli, gli occhi bianchi che fissano le prede dall’oscurità, una lunga lingua rossa che evoca il simbolo fallico alla base dei culti di fertilità. Il loro tratto distintivo, però, sono le lunghe corna possenti che rimandano a un tempo ancestrale in cui le creature cornute dominavano le foreste e facevano inchinare al loro cospetto nobili e contadini, donne e cacciatori. Queste creature che escono dalle foreste per unirsi per una notte con gli uomini sono i Krampus. Il loro nome deriva presumibilmente dal termine tedesco kramp che significa “artiglio”.
Questi diavoli sfilano ancora oggi per le strade dei paesi in feste che culminano con fiaccolate o fuochi d’artificio. La figura di un giovane che rappresenta San Nicolò/Nicola protegge il pubblico dalla loro violenza. Essi si dimostrano infatti aggressivi e brutali contro coloro che non si sono comportati bene durante l’anno e che vengono interrogati durante la processione dal Santo.
Alcune versioni della festa vogliono che il Santo, accompagnato dai Krampus, visiti le case del luogo per interrogare adulti e bambini sull’andamento dell’anno che si sta per chiudere. I bambini che si sono comportati bene verranno ricompensati con regali e dolci. Non è un caso infatti se San Nicolò o san Nicola sia stato identificato dai ricercatori come una possibile rappresentazione originale di Santa Claus, Babbo Natale. Secondo una versione della nascita della figura di san Nicola, egli si accompagnava a un aiutante particolare, una specie di demone, il Krampus che poi le versioni successive del folklore hanno reso al plurale, facendone un gruppo di diavoli dai nomi diversi a seconda del contesto culturale e geografico in cui si muove: «Aiutante Oscuro, Klosen a Stelvio, Hans Muff, Black Peter, Bartel in Stiria, Knecht Ruprecht, Ruvid Nicholas, Klausbuf in Bavaria, Ru- Klaus, Hans Trapp, Schmutzli in Svizzera, Zwarte Pieten, Belsnickel e soprattutto Krampus in Austria, Baviera, Croazia, Slovenia, Ungheria e per l’Italia, Friuli, Alto Veneto e Trentino Alto Adige»
I Krampus, infatti, sono selvaggi, violenti e inferociti, e quindi in questa particolare serata danno sfogo a quelle forze che per tutto il resto dell’anno vengono represse. Rincorrono, fra urla, mugugni e grida, i bambini, i ragazzi, ma anche gli adulti e i più anziani, spingono la gente, dando pesanti frustate e colpi di verga alle gambe di chiunque capiti tra i loro piedi. I più timorosi camminano rasenti i muri, i più coraggiosi soprattutto tra i ragazzi si fanno avanti per osservare da vicino le creature. Il male ipnotizza e le antiche tradizioni mantengono vivo il proprio fascino millenario. Essi rappresentano le forze dell’inverno, la notte, il freddo che vanno esorcizzate per cedere il passo alla primavera. La festa inizia con il vescovo San Nicolò, solitamente trainato su un carro, che interroga i bambini e si mostra con una folta barba bianca. Con i bambini che nel corso dell’anno si sono comportati bene, egli sarà generoso di regali, tra i quali dolci, mentre per quelli che non si sono comportati bene, ci sarà un brutto rimprovero e il carbone. Alcune di queste prelibatezze sono dei pani dolci con la forma degli stessi Krampus. Oltre a questo compito, San Nicolò deve placare le ire dei demoni cornuti nei confronti degli spettatori.
Ed è proprio alla fine della processione, appena il sole tramonta, quando il santo si ritira scomparendo dalla sfilata, che i diavoli rimangono incontrollati e possono sfogare il loro istinto primordiale. Le valli vengono immerse nell’anarchia e adulti e bambini corrono a barricarsi in casa. Sprangano porte e finestre per tenere fuori, lontano, il male. Sventurati coloro che si ritrovano al loro cospetto… ancora oggi nemmeno la polizia riesce a mantenere l’ordine pubblico dinanzi alla rappresentazione del male. Le rincorse e gli inseguimenti da parte dei diavoli possono durare anche ore, fino a quando le tenebre riavvolgono la parata riportando l’ordine e la calma.
Antiche usanze sopravvivono in zone rurali dell’Austria, Svizzera, Baviera, Slovenia, Croazia occidentale e Italia sotto forma di danze, arti, processioni, rituali, e giochi. Questi rituali hanno ormai assunto il carattere anche goliardico delle feste carnevalesche, in cui il riso, i giochi e la sovversione dei ruoli prevalgono per alcune ore o giorni come una “sospensione” delle regole tradizionali: domina l’elemento parodistico e addirittura sacrilego, come già ampiamente spiegato dall’esoterista francese René Guénon e dall’antropologo James Frazer nel suo Il ramo d’oro. Non potendoli debellare del tutto, la modernità ha infatti assorbito gli antichi culti il cui pallido ricordo sopravvive in feste popolari o carnevalesche. Così vedremo come la Corrida mantenga il ricordo di culti legati a un dio cornuto mentre il carnevale moderno evochi feste come i Saturnali romani in cui avveniva un ribaltamento della realtà con un conseguente rovesciamento dei rapporti gerarchici che sopravvive nelle maschere e nei comportamenti licenziosi di queste. Negli odierni rituali troviamo anche l’aspetto sinistro se non addirittura “satanico” che eccita il volgo attraverso la violenza e l’allegria: i ragazzi che scappano da uomini mascherati da Krampus ne è l’ennesima conferma. L’origine però di tali festività va rintracciata sotto il livellamento che il cristianesimo ha effettuato nel tentativo di scardinare gli antichi culti pagani e che successivamente la globalizzazione e il merchandising hanno ulteriormente sradicato (si pensi per esempio al caso di Halloween).
Dietro le maschere macabre o mostruose, spiegava Guénon, rimane il carattere licenzioso che permette al volgo di sfogare le proprie pulsioni, di canalizzare la violenza e l’aggressività in modo da «renderle il più possibile inoffensive, dandogli l’occasione di manifestarsi, ma solo per periodi brevissimi e in circostanze ben determinate, e assegnando così a questa manifestazione degli stretti limiti che non le è permesso oltrepassare. Se infatti queste tendenze non potessero ricevere quel minimo di soddisfazione richiesto dall’attuale stato dell’umanità, rischierebbero, per così dire, di esplodere, e di estendere i loro effetti all’intera esistenza, sia dell’individuo sia della collettività, provocando un disordine ben altrimenti grave di quello che si produce soltanto per qualche giorno riservato particolarmente a questo scopo. Tale disordine è d’altra parte tanto meno temibile in quanto viene quasi “regolarizzato”, poiché da un lato, questi giorni sono come avulsi dal corso normale delle cose, in modo da non esercitare su di esso alcuna influenza apprezzabile, e comunque, dall’altro, il fatto che non vi sia niente di imprevisto “normalizza” in qualche modo il disordine stesso e lo integra nell’ordine totale».
Questo genere di festeggiamenti servirebbe quindi per canalizzare le pulsioni più basse del volgo ed evitare che esse esplodano in una qualche forma di disordine generalizzato o in un “carnevale perpetuo”. Ciò servirebbe dunque per regolarizzare e integrare nell’ordine cosmico stesso le pulsioni verso il demoniaco. La materializzazione o l’uscita alla luce del sole delle “maschere”, rappresenta per Guénon «una parodia del “rovesciamento” che […] si produce a un certo grado dello sviluppo iniziatico: parodia, diciamo, e contraffazione veramente “satanica”, perché qui il “rovesciamento” è un’esteriorizzazione, non più della spiritualità, ma, all’opposto, delle possibilità inferiori dell’essere».
Da un punto di vista esoterico è sicuramente vero, ma dal punto di vista storico religioso ed etnologico non possiamo che constatare come queste tendenze sussistano da millenni e abbiano accompagnato il cammino dell’uomo su questo pianeta. Il disordine che le forze ctonie, legate alla foresta, alla terra, addirittura al freddo e all’inverno e poi moralizzate e intese come “male” vengono infatti tenute a bada e reintegrate nell’ordine cosmico a cui appartengono.
La parata di Krampus è infatti tenuta sotto stretta sorveglianza dalla figura del Santo e quando questi scompare per permettere lo sfogo delle pulsioni più basse delle creature, gli adulti corrono a casa con i figli: il pericolo rimane per gli sventurati, i forestieri o per coloro che volontariamente vogliono affrontare il pericolo. Il calar delle tenebre, però, ripoterà l’ordine e la calma, facendo scomparire i demoni e riportandoli da dove erano venuti. Dall’altra questo genere di feste vede la materializzazione di caratteri “infernali” attraverso le maschere a cui è permesso solo in periodi specifici di apparire e di prendere il sopravvento.
Testo estratto dal libro Il Dio Cornuto di Enrica Perucchietti e Paolo Battistel