Vi sono, in Italia, due usanze che sembrano collegarsi a tradizioni pre cristiane. Prima che si affermasse la consuetudine dei regali natalizi ai bimbi, i quali si raccontava che gli aveva portati Gesù nella notte, erano i re Magi ad avere questa funzione nel giorno della Epifania, il ricordo dei tre doni offerti al bambino per eccellenza.
La Befana rappresentata da una vecchia brutta che vola sulla scopa: una vecchia benefica e tutto sommato simpatica che scende di notte per la cappa del camino lasciando nelle calze dei bimbi doni dolce talvolta Carbone. Il suo nome deriva da Epifania che diventa da prima Pifania, poi Bifania e infine Befana, tentativo evidente di cristianizzare il misterioso inquietante personaggio trasformandolo nella personificazione femminile della festa.
Molte sono le ipotesi, ma una delle più accreditate interpreta la Befana come la sopravvivenza di una figura arcaica simbolo di Madre Natura che, giunta alla fine dell’anno invecchiata rinsecchita, e degna soltanto di essere segata bruciata. Segata offre una cascatella di dolciumi e regalini, che altro non sono se non i semi grazie di quali risorgerà a primavera come Madre Natura giovinetta. Bruciata offre carbone che simbolicamente rappresenta l’energia latente della terra pronta a rivivere con il Nuovo Sole.
La Befana è una strega che vaga per il mondo, la sua credenza è diffusa in tutta l’Italia, Alto Adige escluso. A cavallo di una scopa si avventura nella gelida notte tra il 5 e il 6 gennaio. E’ una figura molto amata.
Lo storico del folclore italiano Carlo Ginzburg ha scritto sull’argomento, interpretando la Befana come un’evoluzione di Perchta, una dea alpina venerata nel mondo pagano con mille nomi diversi. È tradizionalmente rappresentata con due forme: una bella donna pallida come la neve, o più spesso come una strega dall’aspetto orribile. Non ci vuole una mente accademica brillante per capire il collegamento con la Befana lì, ma confermarlo è difficile.
Il tempo passò, e poi venne il Medioevo, quando il cristianesimo fece proprie tutte le credenze popolari per sradicarle e soffocarle. Nemmeno alla Befana è stata risparmiata da questa sorte: una leggenda “diffusa” sulla Befana venne inserita all’interno dei Vangeli, conducendo i Magi al luogo in cui nacque Gesù, vale a dire il tema dell’Epifania nei riti cristiani.
Ci sono altri collegamenti: con Epona, la dea celtica dei cavalli e altre credenze celtiche. Queste divinità spesso diffondevano doni con una cornucopia, o come anche Diana, dea greca della caccia. Purtroppo le fonti documentali sono scarse. Durante il XX secolo la celebrazione della Befana si è diffusa e radicata in tutta la penisola italiana.
Holla/ Holda/ Frau Holle
La buona Holla dagli occhi luminosi e le vesti candide come la neve era la Signora dell’Inverno, custode del focolare, protettrice della casa, degli animali domestici e dell’arte della filatura. Aveva l’aspetto di una donna vecchia dal volto rugoso, i capelli canuti, che il forte vento scarmigliava, e lo sguardo gentile e benevolo. Ma le sue sembianze erano mutevoli, e molti i suoi volti. Nelle notti del Solstizio d’Inverno scendeva sui campi innevati per benedirli e accertarsi che fossero fertili e pronti per le prossime semine. Cavalcava uno splendido corsiero bianco, stormi di cicogne e rondini la precedevano e ne annunciavano l’arrivo.
Al suo seguito c’erano invece bellissime divinità femminili, che volavano in groppa ai gatti, e le anime dei bimbi non nati o morti nei primi anni d’età. In tal modo si recava a visitare ogni casa, entrando dal camino, e spargeva i suoi doni di Luce e Fortuna su quelle in cui trovava armonia, pulizia ed ordine, così come su coloro che vi abitavano e che nella loro vita coltivavano le stesse buone virtù. Se invece trovava sporcizia, disordine e disarmonia, poteva anche maledirle, ed in ogni caso preferiva allontanarsene, ritirando la sua benedizione, la Fortuna e tutte le cose belle di cui era portatrice. Per propiziarne la benevolenza e il ritorno, si usava lasciare offerte di cibo sui tetti e nelle case, oppure una tazza di latte tiepido, la cui rimanenza, data da bere al bestiame la mattina seguente, ne avrebbe aumentato la fertilità. Talvolta, invece che a cavallo la Dea viaggiava su un carro scintillante, sfidando bufere di neve e tempeste, e nella corsa selvaggia capitava che esso si danneggiasse. Allora, se nei paraggi qualche uomo si offriva di ripararlo, lei gli regalava schegge di legno fatato, che ben presto si trasformavano in oro puro. Un oro che richiama non tanto la ricchezza materiale, quanto quella che viene dal profondo e che può essere nutrita solo con ciò che è armonioso e naturale, fatto della sua stessa brillante e invisibile sostanza. Come Signora della filatura, soprattutto del lino, Holla era protettrice delle filatrici, che si intrattenevano al fuso fino tarda sera.
Quest’arte veniva infatti svolta solo dopo tutti gli altri lavori domestici, nella quiete della notte. Nelle sue visite solstiziali, la Dea osservava scrupolosamente il filato che le donne producevano ed il modo in cui lavoravano, premiando quelle che filavano con cura e impegno, donando conocchie piene del migliore lino, oppure, in rari casi, riempite di bellissimi fili dorati– forse il segno di una Fortuna molto particolare, un’offerta di seguire il magico filamento d’oro che proviene dai mondi fatati e che porta a riunirsi alle Antiche Armonie. A volte, al mattino, poteva anche accadere che le donne trovassero il proprio lavoro terminato, segno che la Dea aveva molto apprezzato ciò che aveva veduto. Capitava però che Holla trovasse anche filatrici negligenti, che producevano un brutto filato e davano poca cura a tutto ciò che facevano: in questo caso aggrovigliava o rompeva il loro lavoro, gettando le conocchie a bruciare nel camino– un segno della sfortuna, delle avversità che impongono i nodi, ovvero gli ostacoli, e confondono la Via, facendo tornare al principio per ricominciare tutto daccapo.
Era tradizione, dunque, finire tutti i lavori di filatura entro il Solstizio d’Inverno, per non lasciare nulla di incompiuto e per non fare adirare la Dea. Nei 12 giorni dopo il Solstizio, infatti, il fuso non doveva essere toccato. In epoca cristiana, a proposito di questa credenza, era d’uso tra le giovani filatrici riempire le conocchie di lino la notte di Natale, lasciandole così fino al mattino, perché si credeva che Dama Holla, vedendole, avrebbe detto “tanti fili, tanti anni buoni”. Le fanciulle dovevano poi liberare subito le conocchie, perché se sulla via del ritorno (che avveniva l’ultima notte dell’anno oppure l’8 di gennaio), la Signora avesse visto le conocchie ancora piene, avrebbe detto “tanti fili, tanti anni cattivi”. Holla amava molto i bambini piccoli, e se lasciavano la vita li accoglieva nel suo gioioso corteo. Poteva anche succedere che ella ne cullasse le nanne, facendo lentamente dondolare le culle se la balia si addormentava, e come una dolce nonna vegliava su di loro. Con il finire dell’inverno, allo sciogliersi della neve e dei ghiacci, con il rinverdire della terra, anche la Dea Holla mutava aspetto, secondo il sacro Ciclo della Natura: la sua pelle raggrinzita si distendeva ed ella diveniva una fanciulla bellissima e radiosa; il suo corpo tornava florido, la pelle morbida e lattea, avvolta in veli trasparenti e sottili come brezza profumata, ed una bianca luce si irradiava da lei, in un alone di magia luminosa che toccava tutto ciò che le giaceva attorno.
La si poteva ora scorgere mentre, nuda, si bagnava in una fonte fresca, in un fiume o in un lago, ma la visione non durava che il tempo di un battito di ciglia. Amava moltissimo trascorrere il tempo nelle montagne, nelle grotte umide, nei misteriosi sotterranei naturali pieni di tesori e pietre preziose. Amava dimorare nei laghi e nelle sorgenti, che le erano sacri e che donavano a chi vi si bagnavano la guarigione del corpo e dello spirito, e bambini al grembo delle donne che volevano diventare madri. Ma non è tutto. Le fonti tanto care alla Dea si diceva fossero luoghi di confine e di passaggio fra i due mondi, quello degli uomini e quello incantato delle entità di luce, la dimora eterna dello Spirito. Tramite questi magici specchi d’acqua si racconta che le anime dei bimbi entrassero nel mondo, trasportate da maggiolini fatati o maestose cicogne nelle pance delle loro mamme, sotto gli auspici di Holla, che vegliava su di loro sempre.
Secondo le fiabe e le leggende, era sempre la lucente Dea a creare sulla terra i fenomeni atmosferici, dalla sua dimora segreta fra le soffici nuvole. Quando sprimacciava il gonfio piumone del suo letto, ne volavano via nugoli di bianche piume che ricadevano come dolci fiocchi di neve sulla Terra. Anche la nebbia che ammantava le vallate nasceva dal fumo del suo fuoco. La pioggia benefica cadeva quando ella stava usando l’acqua per lavare, mentre quando lavorava il lino, si vedevano i lampi e si sentivano i tuoni del temporale. Era lei che faceva sorgere il Sole, ogni mattino, ed in primavera rendeva fertili i campi e risvegliava i meli, che rifiorivano al suo tocco delicato. Le erano particolarmente sacre due piante: il lino ed il misterioso e vecchissimo albero chiamato Holler o Hollunder; ma anche la piccola alchemilla, che stilla rugiada celeste, e la bellissima veronica alpina, dai fiorellini turchini.Il lino dagli splendidi petali azzurri è la gemma della luce, il fiore della candida purezza, come il delicato filo che se ne ottiene lavorandolo e che si può filare solo se inumidito.
Si narra di un povero coltivatore che si ritrovò sulla cima di un monte in una grotta piena di oro e cristalli preziosi, dove gli apparve Holla, nelle sembianze di una regina bellissima attorniata dalle sue vergini ancelle, e gli disse che poteva chiederle tutto ciò che desiderava. Il coltivatore, per nulla attratto dalle ricchezze di cui era colma la grotta, vide fra le mani della Dea un mazzetto di fiori e la pregò di donargli quelli, poiché a lui sarebbero stati più che sufficienti. Questi fiori, che sulla Terra erano ancora sconosciuti, erano appunto del lino. Holla offrì quindi al coltivatore una borsa piena di semi e gli disse di spargerli sul suolo, e quando le piantine fiorirono e furono pronte per il raccolto, ella visitò i campi azzurri dell’uomo ed insegnò a sua moglie a filare e a tessere il lino, in una stoffa leggera e di nobile bellezza. Non si sa che albero fosse il misterioso Hollunder, sotto al quale si diceva che dimorassero i morti, ma è probabile che si trattasse del sambuco (Holantar tra i germani), che si diceva fosse l’albero delle Fate, sorgente di visioni magiche e una porta della morte, ma anche della rigenerazione, della guarigione e del nutrimento.
Secondo una leggenda nordica una magnifica fanciulla dai capelli d’oro abitava questo albero, specie nei pressi di fiumi e sorgenti: la misteriosa fanciulla non era altri che Holle (Holda/Frau Holle), la Regina delle Fate. La luce benevola e gentile di Holla, però, non permeava tutta la sua essenza, poiché ella aveva in sé anche ombre inquiete. Era sì la splendente e luminosa Madre, ma anche Signora del regno sotterraneo ed infero, legata al potere ctonico e alla Morte: questo suo lato era assimilabile alla spaventosa Hell, terribile Dea degli Inferi. In questa veste poteva diventare spietata ed era la Dea che conduceva i morti nell’Altromondo, attraverso gli oscuri recessi dei monti: per questo veniva considerata anche una Dama della tomba, del trapasso e del rinnovamento, personificazione delle potenze della vita che si rigenera. Con il sopraggiungere del Cristianesimo, la magnifica Dea venne in certi casi tramutata in un demone notturno, che si diceva si aggirasse nelle fredde notti invernali guidando un corteo di anime, penose e piangenti, di bambini morti senza aver ricevuto il battesimo. Sulla bellezza ed armonia originarie prevalsero visioni lugubri e sofferenti, cupe, pregne di quell’atmosfera colpevolizzante tanto cara alle religioni dominanti. Però, la divina Signora sopravvisse nelle fiabe e nella tradizione popolare, che ancora oggi la preserva nella memoria, la onora e le fa dolci offerte nei 12 giorni dopo il Natale, come buona e dolce Befana che elargisce i giusti doni per ognuno, e che dispensa la sua Luce e la sua Fortuna.
Altri volti di Holla sono Berta, protettrice dell’agricoltura, con il suo corteo delle Fate, o la Dea Frigg, signora delle acque, e la sua ancella Fulla: solo per restare nelle tradizioni nordiche. Ma tutte le culture hanno le stesse identiche divinità femminili: le stesse immagini ritroviamo nelle dee dell’antico mondo greco-romano, e in tutte le tradizioni africane, che hanno poi condotto alle figure del sincretismo sudamericano: per esempio con Oxum e Yemanjà.
[Tratto liberamente da: Le origini della Befana: Dee di Luce e Fortuna e da Folklore Thursday]