Il sole dona calore e luce, e scandisce i cicli dell’anno; è quindi associato alla nascita della vita, alla fertilità dei campi, e alla vittoria su forze minacciose. Il potere del sole è complementare a quello primevo della terra. Infatti, quando l’astro lambisce la terra con i suoi raggi, vi accende la scintilla della vita.
Nei ritrovamenti archeologici che risalgono all’Età del Bronzo e del Ferro, l’allusione all’accoppiamento sessuale è più che palese: il calore del sole penetra nella terra umida dove ha inizio la vita. Immagini solari adornano i cadaveri e sono associate a divinità sia femminili sia maschili. In Val Camonica, i Celti della tarda Età del Bronzo e dell’Età del Ferro scolpirono immagini del sole sulle rocce: dischi circolari o ruote dentate che fluttuavano sopra figure umane. Le immagini del sole e dell’abbondanza della terra sembrano completarsi nell’immaginario celtico. Anche se le rappresentazioni solari sono associate principalmente alle divinità maschili e quelle di abbondanza terrestre alle dee madri, non è raro incontrare dee accompagnate da ruote solari e dei che portano cornucopie e simboli di messi generose.
Le immagini del disco solare, talvolta accompagnate da un carro e da un cavallo, sulle pareti, sulle monete e sulle armature, riassumono la raffigurazione tipica del sole che attraversa il cielo trainato da un carro o da alcuni cavalli. Forse solo un animale nobile come il cavallo può accompagnare il sole. Epona, la dea-giumenta, viene talvolta associata a immagini solari. In due delle più grandi feste del mondo di luce, Beltane, che si tiene all’arrivo dell’estate (primo maggio), e Lughnasad, che si tiene all’inizio della stagione dei raccolti (primo agosto), il fuoco assume le sembianze del sole sulla terra. I cicli del sole portano la vita. In una festa di mezza estate celebrata in Germania fino al secolo scorso, per esempio, si dava fuoco a una ruota di paglia che si faceva poi rotolare da una montagna fino alle acque della Mosella; se quando raggiungeva il fiume la ruota era ancora in fiamme, la vendemmia sarebbe stata abbondante.
*Molti luoghi dedicati a Lugh nell’Europa centrale e occidentale testimoniano l’importanza del dio tra i Celti (diversi luoghi venivano chiamati Lugudunon, “il forte di Lugus”, cioè Lugh). L’antico nome Lugus sembra significhi “lucentezza, illuminazione”, e, sebbene ciò sembra ricollegarsi puramente alla stagione del raccolto, è connesso anche a tutte le capacità della mente umana.
Lugh è legato all’intelligenza, a come essa porti alla supremazia della mente sui problemi. Mentre Brigit, la Musa, procura l’energia pura necessaria per lo sforzo creativo, Lugh, l’artista perfetto, sa come forgiare tale energia.
Lugh è esperto in tutte le arti, dalla poesia alla metallurgia, dall’arte della guerra alla musica.
Dovevano esistere diverse variazioni locali della storia di Lugh, che purtroppo sono state dimenticate (nonostante ciò alcuni frammenti di tali storie sembrano essere sopravvissuti attraverso altri personaggi, come nel caso della storia di “Jack il Calderaio” della Cornovaglia). La nascita di Lugh avviene in un periodo di tensioni e pericoli. Il dio è figlio di Cian, figlio di Dian Cécht, e di Eithne, figlia dell’invincibile campione Balor, colui il cui occhio inceneriva tutto ciò su cui si posava. Lugh rappresenta la possibile riconciliazione tra Danai e Fomori (tra saggezza e forze del caos). Poiché la sua esistenza è un pericolo per Balor (secondo una profezia sarebbe stato ucciso dal nipote), appena nato viene nascosto e, come Mabon, svanisce dalla terra ed è ospitato da Manannàn Mac Lir, custode delle profondità marine, dove apprende l’arte della poesia. Cresciuto, Lugh reclama il suo posto a Tara, tra i Tuatha Dé Danann. Come membro dei Danai, partecipa alle lotte contro i Fomori e alla fine distrugge l’occhio del nonno Balor. I Fomori non sono più invincibili e il raccolto è al sicuro.
Secondo la tradizione gallese, egli è figlio di Arianrhod, la Dea Bianca, e di Gwyddyon, suo fratello. La madre, insofferente al nascituro, getta sul bambino tre geasa (divieti). Il bambino non deve avere un nome a meno che non gli venga dato dalla dea stessa, non può possedere armi se non donate da lei e non può avere in sposa una fanciulla mortale. Attraverso l’ingegno del padre Gwyddyon il bambino riesce ad aggirare i geasa , riuscendo ad avere un nome (la madre, stupita dalla sua abilità esclamò: Lleu Llaw Gyffes, che significa “Il leone ha la mano ferma” e che quindi divenne il nome del giovane dio), ad avere le armi (attraverso un travestimento fu la dea stessa a metterle nella sua mano) e una bellissima donna non mortale (venne creata dal padre mediante la magia e l’uso di nove fiori e il suo nome è Blodeuwedd, che significa appunto “viso di fiori”). Blodeuwedd tradisce il marito, riferendo all’amante Grown Pebr il suo punto debole, ma Lleu riusce a salvarsi e a sconfiggere il nemico. Blodeuwedd viene invece tramutata in gufo.
Lugh è l’archetipo dell’eroe salvatore, colui che porta il lieto fine. Come Odino nella mitologia norrena, Lugh possedeva dei corvi profetici secondo le fonti più antiche. I Romani lo associarono a Mercurio (ciò si ritrova nel De bello gallico di Cesare) e ad Apollo-Febo.
(questo paragrafo di testo * è tratto dal sito “Il cerchio della Luna“)
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