…Per monti e burroni,
per siepi e giardini,
tra fiori e tra spini,
tra flutti e tra tuoni,
più lieve d’un raggio
del sole di maggio
volando viaggio
al comando della divina
che delle Fate è la regina.
D’una primula dorata
nella campanula fatata
troverò nascosta
la stilla incantata.
W. Shakespeare
da “Sogno di una notte di mezza estate”
La Tempesta
Il nostro gioco è finito. Gli attori, come dissi, erano spiriti, e scomparvero nell’aria leggera. Come l’opera effimera del mio miraggio, dilegueranno le torri che salgono su alle nubi, gli splendidi palazzi, i templi solenni, la terra immensa e quello che contiene; e come la labile finzione, lentamente ora svanita, non lasceranno orma. Noi siamo di natura uguale ai sogni.”
William Shakespeare
Peter Pan nei Giardini di Kensington
È incredibilmente difficile riuscire a ottenere informazioni sulle fate, e l’unica cosa certa, o quasi, è che ci sono fate ovunque ci siano bambini.
James Matthew Barrie
Uno spirito
[…]i boschi ondeggianti, la fonte silente, il rivo che gorgoglia, l’incupirsi della sera, ora addensante le sue buie ombre, egli interpretava come un linguaggio, e con lui parlavano, come se lui e tutto ciò formassero
insieme il tutto.
P.B. shelley, Alastor
Ecco accendersi i fuochi in onore del Nuovo Sole….
Anno dopo anno secolo dopo secolo si sono arrampicati fino a noi.
Mormorano parole al vento, ricordi sensazioni perse nel mare del tempo.
Da una fiamma ad un altra
Da fiammella a grande falò in un istante.
Ai loro piedi ha inizio la nostra festa.
Brindiamo, celebriamo la vittoria del nuovo Sole sull’oscurità.
Usciamo dalle case, odoriamo il vento, questa notte è davvero magica
ogni supplica vola in alto tra le fiamme ancora una volta, per diventare realtà.
Myrddn mezzoelfo
Elme quendi
Elme i nar oire
Elme i laitar taure.
Elme i melir i tingilindi.
Elme i nar tyelce quingamor.
Elme i feuyar i Sauro.
Elme i tirner Utumno.
Elme i mahtar macilelma Orconnar.
Quendi, elma umbartelma ea mi Nuumesse..
Noi che siamo eterni.
Noi che celebriamo la foresta.
Noi che amiamo le luccicanti stelle.
Noi che siamo delle persone agili.
Noi che disprezziamo il male
Noi che difendiamo Utumno.
Noi che usiamo le nostre spade contro gli orchi.
Noi gli Elfi, il nostro destino e’ l’occidente
John Ronald Reuel Tolkien
Beren e Tinuviel
Lunghe eran le foglie e l’erba fresca
Le cicute ondeggiavano fiorite e belle
Una luce brillava nella foresta
Era tra le ombre un luccicar di stelle
Tinuviel ballava nella radura
Di un flauto nascosto alla musica pura
Lì giunse Beren dal monte nebbioso
Tra le fronde e gli alberi disperso
Dove l’elfico fiume scorre tumultuoso
Camminò solitario ed in pensieri immerso
E vide con gran meraviglia
Dalie dorate ricoprirle il manto
Sulla lunga veste luce di stelle
E bionde cascate sulle sue spalle
Tinuviel tra i boschi elfici fuggiva con piedi alati
Lasciandolo senza amici tra le foreste e i prati
La vide così bella
Al lume di luna, al raggio di stella
Passato l’inverno ella tornò a danzare
E col suo canto giunse la primavera
Inseguita di nuovo ella fuggì via
Ma l’elfico suo nome era poesia
E allora si fermò ad ascoltarlo
Come incantata dalla voce di Beren
Che svelto la raggiunse per magia
E la vide tra le braccia brillare
Tinuviel tra i boschi elfici fuggiva con piedi alati
Lasciandolo senza amici tra le foreste e i prati
La vide così bella
Al lume di luna, al raggio di stella.
Credo Mezzelfico…!
Credo che tutta la natura sia popolata di esseri invisibili,
alcuni dei quali sono brutti e grotteschi, altri malvagi e sciocchi,
molti di essi belli, ben al di sopra di qualunque bellezza abbiamo
mai veduto, e che quelli belli, non siano troppo distanti
quando passeggiamo per luoghi ameni imperturbati.
Anche quand’ ero ragazzo non potevo mai
passeggiare in un bosco senza avvertire che sempre,
a ogni istante, avrei potuto trovarmi di fronte
qualcuno o qualcosa che avevo cercato a lungo senza
saperlo chiaramente.
E ora esploro a volte ogni piccolo anfratto
di qualche misera boscaglia con passo quasi ansioso,
tanto è profonda l’influenza di questa immaginazione su di me.
Anche voi, senza dubbio,
vi imbatterete in un’immaginazione simile
da qualche parte ovunque le stelle
che ci governano decidano di attirarvi,
sia Saturno che vi giuda ai boschi,
o la Luna,forse, sull’orlo del mare.
Io non vorrò credere mai conferma sicurezza
che non vi sia nulla nel tramonto,
ove i nostri progenitori immaginavano le schiere
dei morti seguire il sole,
o nient’altro che una vaga presenza destinata
a commuoverci poco o nulla.
William Butler Yeats Irlanda Luna crescente (1823)
In riva al lago incantato
Profonda era la quiete sopra il lago,
Ma un’onda bianca si increspò leggera
E quando fu sulla riva ne uscirono
Ombre indistinte con lieti stendardi.
Venne avanti, un folla aerea:
Sottili forme trafitte dai raggi della luna
Con lance ed elmi in fiero corteo,
Ondulate sull’acqua dalla bruma.
Fieri destrieri seguono a falcate
L’invisibile via con strani balzi ,
E cortine di nuvole sul capo
In festoni iridati di vapori.
Se un alito di vento fa agitare
Quei drappi che il cielo ha intrecciato
Ali leggere di garza iridata
Si muovono brillando a ogni respiro.
Ed un canto corale si levava,
Gonfiandosi in argentee armonie dolci;
A questo suono la torma sottile
Avanzava agile e graziosa.
Al ritmo della musica andavano e venivano
Dinnanzi agli occhi increduli di Merlino;
Ora gonfiandosi con allegria selvaggia,
Ora svanendo pian piano a derisione.
Myrddn – lago di Pusiano (Co) – luna piena marzo 2003
Il Signore degli Anelli
Tre Anelli ai re degli Elfi sotto il cielo che risplende,
Sette ai Principi dei Nani nelle loro rocche di pietra
Nove agli Uomini Mortali che la triste morte attende,
Uno per l’Oscuro Sire chiuso nella reggia tetra
Nella Terra di Mordor, dove l’Ombra nera scende.
Un Anello per domarli,
Un anello per trovarli,
Un Anello per ghermirli
e nel buio incatenarli,
Nella Terra di Mordor, dove l’Ombra cupa scende
John Ronald Tolkien
Il canto della Strada (tre strofe)
La Via prosegue senza fine
Lungi dall’uscio dal quale parte.
Ora la Via è fuggita avanti,
Devo inseguirla ad ogni costo
Rincorrendola con piedi alati
Sin all’incrocio con una più larga
Dove si uniscono piste e sentieri.
E poi dove andrò? Nessuno lo sa.
La Via prosegue senza fine
Lungi dall’uscio dal quale parte.
Ora la Via è fuggita avanti,
Presto, la segua colui che parte!
Cominci pure un nuovo viaggio,
Ma io che sono assonnato e stanco
Mi recherò all’osteria del villaggio
E dormirò un sonno lungo e franco
Voltato l’angolo forse si trova
Un ignoto portale o una strada nuova;
Spesso ho tirato oltre, ma chissà,
Finalmente il giorno giungerà,
E sarò condotto dalla fortuna
A est del Sole, ad ovest della Luna
John Ronald Tolkien
Il canto elfico di Galadriel
Ai! laurië lantar lassi sùrinen,
Yèni ùnòtimë ve ràmar aldaron!
Yèni ve lintë yuldar avànier
mi oromandi lisse-miruvòreva
Andùnë pella, Vardo tellumar
nu luini yassen tintilar i eleni
òmaryo airetàri-lìrinen.
Si’ man i yulma nin enquantuva?
An sì Tintallë Varda Oiolossëo
ve fanyar màryat Elentàri ortanë
ar ilyë tier undulàvë lumbulë;
ar sindanòriello caito mornië
i falmalinnar imbë met, ar hìsië
untùpa Calaciryo mìri oialë.
Sì vanwa nà, Ròmello vanwa, Valimar!
Namàrië! Nai hiruvalyë Valimar.
Nai elyë hiruva. Namàrië!
Ah! Simili ad oro cadono le foglie al vento,
lunghi innumerevoli anni come le ali degli alberi!
I lunghi anni sono fuggiti,
come rapidi sorsi del dolce idromele,
in aerei saloni oltre l’Occidente,
sotto le azzurre volte di Varda
ove le stelle tremolano al canto della sua voce,
una voce sacra di regina.
Chi riempirà ormai per me la coppa?
Ahimè! la Vampa, Varda, Regina delle Stelle,
ha innalzato le sue mani al Monte Semprebianco
come nuvole che ascendono al cielo,
ed ogni sentiero è immerso nella più cupa oscurità;
fuori dalla grigia campagna,
il buio sovrasta le onde spumeggianti che ci separano,
e la nebbia ricopre per sempre i gioielli di Calicirya.
Perso! Perso è ormai Valimar
per coloro che vivono a oriente.
Addio! Forse un dì tu troverai Valimar.
E forse anche tu lo troverai un dì. Addio!
La canzone di Barbalbero
Fra salici e prati a Tasarinan passeggiavo in Primavera.
Ah! la vista e il profumo di Primavera a Nan-tasarion!
Dicevo: “è bello!”
Nei boschi di olmi d’Ossiriand erravo d’Estate.
Ah! le luci ed i suoni d’Estate fra i Sette Fiumi di Ossir!
Pensavo ch’era ancor meglio.
Ai faggi di Neldoreth giungevo infine in Autunno.
Ah! il rosso e l’oro ed il fremer di foglie d’Autunno a Taur-na-neldor!
Colmava ogni mio desiderio.
Sino ai pini degli altipiani di Dorthonion salivo d’Inverno.
Ah! il vento e il bianco e il nero dei rami d’Inverno a Orod-na-Thôn!
S’innalzava il mio canto nei cieli.
Ed ora sommerse dall’onda son quelle terre.
E io cammino attraverso Ambarona, Tauremorna, Aldalòmë,
Attraverso il mio territorio, il paese di Fangorn,
Ove lunghe son le radici,
E più fitti che foglie gl’innumerevoli anni
A Tauremornalòmë.
Galadriel
“A Lòrien, a Dwimordene
Gli Uomini han camminato raramente,
Pochi mortali han veduto splendente
La luce che vi brilla sempre.
Galadriel! Galadriel!
Limpida l’acqua del tuo pozzo lontano;
Bianca la stella nella tua bianca mano;
Candidi e puri son foglia, terra e grano
A Lòrien, a Dwimordene,
Più belli dei pensieri degli Uomini Mortali”
Le parole di myrn il veggente
“Vedo già sulla terra una lunga ombra,
Mutarsi ad occidente in buia tenebra.
Trema la Torre; e vicino è il destino
Alle tombe dei re. Sorgono i Morti,
E giunta è l’ora per i traditori:
Di nuovo, in piedi sulla Roccia d’Erech,
Udran sui colli lo squillar di un corno.
Chi suonerà? Chi, dalle grigie tenebre,
Quella perduta gente chiamerà?
L’erede di colui che allor tradirono
Verrà dal Nord, sospinto dal bisogno,
E varcherà il Cancello che separa
Le nostre vie dai Sentieri dei Morti”.
L’incantesimo di Tumulilande
Fredda la mano ed il cuore e le ossa,
Freddo anche il sonno è nella fossa:
Mai vi sarà risveglio sul letto di pietra,
Mai prima che muoia il Sole e la Luna tetra.
Nel vento nero le stelle anch’esse moriranno,
Ed essi qui sull’oro ancora giaceranno,
Finché l’oscuro signore non alzerà la mano
Sulla terra avvizzita e sul mare inumano.
La lettera di Gandalf
Non tutto quel ch’è oro brilla,
Né gli erranti sono perduti;
Il vecchio ch’è forte non s’aggrinza,
Le radici profonde non gelano.
Dalle ceneri rinascerà un fuoco,
L’ombra sprigionerà una scintilla;
Nuova sarà la lama ora rotta,
E re quei ch’è senza corona.
La mia casa si trova nel profondo della foresta, vicino alle radici della montagna. Ho detto a Gandalf che vi avrei tenuto al sicuro, e al sicuro io vi terrò. Gli alberi sono cresciuti selvaggi e pericolosi. La rabbia avvelena i loro cuori.
Barbalbero
La ballata di Tommaso il Rimatore
La Ballata (Collezionata: dalle versioni di Scott e Jamieson)
Il buon Tommaso giaceva sulla riva
E scorse una lieta signora,
Una dama che era svelta e fiera
E veniva cavalcando sulla proda erbosa.
La sua gonna era di seta verde erba,
Il suo mantello di fine velluto,
A ogni ricciolo della criniera del cavallo
Pendevano cinquantanove campanelli d’argento.
Il buon Tommaso si tolse il cappello
E si piegò sulle ginocchia;
«Salute a te, che devi essere Regina del Cielo!
che simile a te in terra mai ho visto nessuno!»
«Oh no, no, mio buon Tommaso», dice lei.
«Quel nome non mi spetta;
Io sono solo la regina della bella Elfilandia,
E sono qui venuta a farti visita.
«Ma adesso devi venire con me, Tommaso,
Mio buon Tommaso, con me devi venire;
Perché: devi servirmi sette anni,
Nel bene e nel male, come fortuna vuole.»
Lei voltò il suo destriero bianco latte,
E prese in groppa dietro a se Tommaso,
E al tocco delle briglie
Il suo destriero volò più rapido del vento.
Per quaranta giorni e quaranta notti
Sguazzarono in sangue rosso fino al ginocchio;
E non videro sole ne luna,
Ma udirono il fragore del mare.
E corsero e corsero,
Finché giunsero a un verde giardino.
«Scendi laggiù, scendi laggiù, bella signora,
Lascia che colga per te quei frutti.»
«Oh no, no, mio buon Tommaso», dice lei,
«Quel frutto non dev’essere da te toccato,
che tutte le calamità dell’ Inferno
Stanno nei frutti di questo paese.
«Ma io ho una pagnotta qui in grembo
E una bottiglia di vino chiaretto;
E adesso, passati che saremo,
ci riposeremo e potremo pranzare.»
Quando lui ebbe mangiato e bevuto a sazietà,
Disse la dama: «Adesso saliremo su quel colle,
Metti il tuo capo sulle mie ginocchia
E io ti mostrerò tre meraviglie.
«Non vedi forse quella stretta strada,
tra fitte spine e densi rovi?
Quello è il sentiero della rettitudine,
Quello cercato però da ben pochi.
«E vedi quell’ ampia strada
Che corre dritta tra prati gigliati?
Quello è il sentiero del male,
Benché qualcuno lo chiami via del Cielo.
«E vedi quella strada così bella
Che si snoda tra i felceti?
Quella è la strada della bella Elfilandia,
Dove tu e io andremo questa notte.
«Ma, Tommaso, devi stare zitto
Qualsiasi cosa tu oda o tu veda,
che, se una parola di bocca ti sfuggisse,
Mai faresti ritorno al tuo paese.»
Tommaso ha avuto veste di bella stoffa
E scarpe di velluto tutto verde;
E benché sette anni siano ormai passati,
Il buon Tommaso in terra mai più si è visto.
I due alberi
Scruta dentro il tuo cuore,
l’albero sacro è lì che sta fiorendo; dalla gioia
I rami sacri si partono, e con essi
Tutti i fiori frementi che sostengono.
I colori mutevoli dei frutti hanno adornato
Con una luce gaia le stelle; la presa sicura
Della radice invisibile ha piantato
La quiete nella notte; lo scuotersi
Della sua vetta frondosa ha dato all’onde
La loro melodia,
Sposando le mie labbra con la musica,
Mormorando per te una canzone magica,
Là vanno in cerchio gli Amori, nel cerchio fiammeggiante
Dei nostri giorni, in vortici,
Svolgendosi a spirale qua e là
In quei vasti e innocenti viali di foglie;
Ricordando la chioma fluttuante e come i sandali alati
Dardeggiano, i tuoi occhi
Di tenerezza si colmano:
Scruta dentro il tuo cuore,
Non ti guardare più allo specchio amaro
Che i demoni ci pongono di fronte, passando,
Con la loro sottile scaltrezza, o se vuoi
Guarda solo un istante; perché vi si formi
Una fatale immagine, che la notte
Tempestosa raccoglie,
Radici nascoste a metà nella neve,
Rami spezzati, foglie annerite.
Perché ogni cosa diventa sterile
In quello specchio oscuro che i demoni sostengono,
Specchio della stanchezza esterna,
Creato mentre Dio stava dormendo nelle età che furono.
Fra i rami infranti, là, passano i corvi
Del pensiero irrequieto, trasvolando,
Stridendo in ogni dove, con gli artigli
Crudeli e il becco rapace.. quando non restano immobili
Fiutando il vento e scuotono
Le ali sbrindellate;
I tuoi teneri occhi perdono ogni dolcezza:
Non ti guardare più in quello specchio amaro.
William Buttler Yeats da “La Rosa – 1893”
Il re degli elfi
Chi a notte cavalca sì tardi nel vento?
E’ il padre del piccolo figlio sgomento.
Ei tien fra le braccia il fanciullo ben stretto,
lo stringe a sé forte, lo scalda al suo petto.
“Perché il volto, o figlio, nascondi in terrore?”
“O padre, degli Elfi non vedi il Signore?
Il Sire degli Elfi con serto e con manto?”
“Mio figlio, e’ la nebbia, la nebbia soltanto.”
“O fanciullo, deh, vieni con me!
Bellissimi giochi giocar vo’ con te;
Han fiori le sponde di mille colori,
Ha vesti, mia Madre, di porpore e d’ori.”
“O padre, non odi, o padre, non senti,
Che a me il Re degli Elfi promette nei venti?”
“Sii calmo, o mio bimbo, sii buono, sii forte:
E’ il vento che crepita fra le foglie morte.”
“Non vuoi, caro bimbo, con me più venire?
Le Figlie mie bene ti devon servire,
Le Figlie mie danzano a notte ora sole,
Ti cullan, t’incantan con dolci parole.”
“O padre, non vedi, non scorgi anche tu
Le Figlie del sire nel buio laggiù?”
“O figlio, mio figlio, so bene guardare
I salici antichi si foschi oscillare.”
“Io t’amo e al tuo aspetto d’amore m’accendo
E se tu non cedi, per forza ti prendo.”
“O padre, ei m’afferra, o padre, ei m’assale,
Il Sire degli Elfi mi fa’ tanto male.”
Il padre galoppa, galoppa fremente
E al petto si stringe il figlio gemente.
Arriva a una casa con pena e con duolo:
Giacevagli in braccio il morto figliolo.
Goethe
Ninfe Naiadi
In capo al porto un ulivo dalla lunga chioma,
vicino a lui l’antro amabile, tenebroso,
sacro alle Ninfe che Naiadi si chiamano.
Dentro sono crateri ed anfore
di pietra, dove le api serbano il miele.
Lì alti telai di pietra, sui quali le Ninfe
tessono stoffe color porpora, meravigliose a vedersi;
lì ancora acque che sempre scorrono. Due sono le porte,
l’una che scende verso Borea è per gli uomini,
l’altra verso Noto ha più divino;
per di là non entrano gli uomini, ché è la via degli immortali.
Omero
Confusa solo per un giorno o due
imbarazzata, ma non spaventata,
camminando nel mio giardino, incontro
una ragazza del tutto inaspettata.
Fa un cenno, ed appaiono foreste,
ogni cosa comincia ad un suo invito.
In un tale paese certamente
io non sono mai stata.
Emily Dickinson
Le belle fate
dove saranno andate?
Non se ne sente più parlare.
Io dico che sono scappate:
si nascondono in fondo al mare,
oppure sono in viaggio per la luna
in cerca di fortuna.
Ma che cosa potevano fare?
Erano disoccupate!
Nessuno le voleva ascoltare.
Tutto il giorno se ne stavano imbronciate
nel castello diroccato ad aspettare
che qualcuno le mandasse a chiamare
Gianni Rodari
lo spirito silenzioso che abita nella penombra dei boschi e che si avventura non visto tra i campi aperti, gli era apparso improvvisamente come una driade
Oscar Wilde, Il Ritratto di Dorian Gray
Non posso essere sola,
mi viene a visitare
una schiera di ospiti,
non sono registrati,
non usano la chiave,
non han né vesti, né nomi,
né climi, né almanacchi,
proprio come gli elfi,
messaggeri interiori
ne annunciano l’arrivo,
invece la partenza
non è annunciata, infatti
non sono mai partiti.
Emily Dickinson
Sirene
Ho udito le sirene cantare l’una all’altra.
Non credo che canteranno per me.
Le ho viste al largo cavalcare l’onde
Pettinare la candida chioma dell’onde risospinte:
Quando il vento rigonfia l’acqua bianca e nera.
Ci siamo troppo attardati nelle camere del mare
Con le figlie del mare incoronate d’alghe rosse e brune
Finché le voci umane ci svegliano, e anneghiamo.
Thomas Eliot
Il mondo delle Fate, un mondo d’incanti cupi, di bellezza affascinante, d’incredibile bruttezza, di superficialità incallita, di spirito, malizia, gioia e ispirazione, di terrore, di riso, amore e tragedia; un mondo molto più ricco di quanto le favole in genere lasciano credere.
Brian Froud, Alan Lee
Stanotte sarai assalito da crampi, da trafitture ai fianchi che ti mozzeranno il respiro, e folletti in forma di porcospini approfitteranno delle più desolate ore notturne, per esercitare su te l’opera loro.
William Shakespeare, La Tempesta
C’era una volta una fata, che fece i prati e gli alberi per gli innamorati.
Victor Hugo
Inno Elfico
Lossa! Lossa! A Heri vana!
A Taari pell’ i-Eari Nuumea!
A Kala men i raanar sinome
I-ardasse aldaron rembe!
Eltaniel! A Elentari!
Vana nar henilyar ar kalima suulya!
Lossa! Lossa! Lindalme lin
Noresse haira i-Ear pella.
A eleni ta i-Yeenesse Avanar
Maryanen kalima ner rende,
Lairessen suurea si kalima ar vana
Kenalme surye losselya tyelpea!
A Elentari! Eltaniel!
Er enyalalme, i maralme
Noresse sina haira nu i-aldar,
Silmelya i-Eassen Nuumea.
Candida-neve! Candida-neve! Limpida dama!
Regina al di là dei Mari Occidentali!
Luce per noi che qui girovaghiamo
Ove gli alberi tessono un’oscura trama!
Gilthoniel! O Elbereth!
Limpidi i tuoi occhi e terso il tuo respiro!
Candida-neve! Candaida-neve! Noi te decantiamo
In un ermo paese dal Mar molto lontano.
O stelle che durante l’Anno Cupo
Le sue brillanti mani hanno tessuto,
In campi ove l’aria è limpida e lucente
Vi vediamo fiorire pari a boccioli d’argento!
O Elbereth! Gilthoniel!
Ricordiamo ancora noi che viviamo
In un luogo boscoso da te tanto lontano,
Il tuo chiaror stellare sui Mari Occidentali.
Al chiaro di Luna…
“Chi cavalca così tardi per la notte e il vento?
È il padre con il suo figlioletto;
se l’è stretto forte in braccio,
lo regge sicuro, lo tiene al caldo.Figlio, perché hai paura e il volto ti celi?
Non vedi, padre, il re degli Elfi?
Il re degli Elfi con la corona e lo strascico?
Figlio, è una lingua di nebbia, nient’altro.
”Caro bambino, su vieni con me!
Vedrai i bei giochi che farò con te;
tanti fiori ha la riva, di vari colori,
mia madre ha tante vesti d’oro”.
Padre, padre mio, la promessa non senti,
che mi sussurra il re degli Elfi?
Stai buono, stai buono, è il vento, bambino mio,
tra le foglie secche, con il suo fruscio.
”Bel fanciullo, vuoi venire con me?
Le mie figlie avranno cura di te.
Le mie figlie di notte guidano la danza
ti cullano, ballano, ti cantano la ninna – nanna”.
Padre, padre mio, in quel
luogo tetro non vedi
laggiù le figlie del re degli Elfi?
Figlio mio, figlio mio, ogni cosa distinguo:
i vecchi salici hanno un chiarore grigio.
”Ti amo, mi attrae la tua bella persona,
e se tu non vuoi, ricorro alla forza”.
Padre mio, padre mio, ora mi afferra,
il re degli Elfi la mia vita l’ha spenta! –
Preso da orrore il padre veloce cavalca,
il bimbo che geme, stringe fra le sue braccia,
raggiunge il palazzo con stento e con sforzo;
nelle sue braccia il bimbo era morto.”
Terra di fate
Valli di nebbia, fiumi tenebrosi
e boschi che somigliano alle nuvole:
poi che tutto è coperto dalle lacrime
nessuno può distinguerne le forme.
Enormi lune sorgono e tramontano
ancora, ancora, ancora … in ogni istante
della notte inquiete, in un mutare
incessante di luogo. E così spengono
la luce delle stelle col sospiro
del loro volto pallido. Poi viene
mezzanotte sul quadrante lunare
ed una più sottile delle altre
(di una specie che dopo lunghe prove
fu giudicata la migliore) scende
giù, sempre giù, ancora giù, fin quando
il suo centro si posa sulla cima
di una montagna, come una corona,
mentre l’immensa superficie, simile
a un arazzo, s’adagia sui castelli
e sui borghi (dovunque essi si trovino)
e si distende su strane foreste,
sulle ali dei fantasmi, sopra il mare,
sulle cose che dormono e un immenso
labirinto di luce le ricopre.
Allora si fa profonda – profonda! –
la passione del sonno in ogni cosa.
Al mattino, nell’ora del risveglio,
il velo della luna si distende
lungo i cieli in tempesta e, come tutte
le cose, rassomiglia ad un giallo albatro.
Ma quella luna non è più la stessa:
più non sembra una tenda stravagante.
A poco a poco i suoi esili atomi
si disciolgono in pioggia: le farfalle
che dalla terra salgono a cercare
ansiose il cielo e subito discendono
(creature insoddisfatte!) ce ne portano
solo una goccia sulle ali tremanti.
di Edgar Allan Poe
Il Biancospino fatato…
Ballata dell’Ulster
Lascia, Anna cara, il tedioso arcolaio,
Tuo padre è sul
colle, e la mamma tua dorme;
Vieni con noi fra le rocce,
lassù sul pendio
Intrecceremo una danza, attorno al
roveto fatato.
Così di Anna Grace alla porta chiamavano le tre fanciulle,
Giovani belle e allegre nei loro verdi corpetti;
La rocca lascia allora Anna, e il tedioso arcolaio,
Anna, io credo, più bella di tutte.
Guizzano lievi nell’incerta luce della calma sera,
Svelando all’aria il collo bianco e le nude caviglie;
Passano il pigro rivo nel suo assonnato canto,
E i profondi dirupi nella spettrale brezza:
Tenendosi per mano, cantano le fanciulle,
Per il colle hanno preso, con intrepido passo,
Fin che giungono ai sorbi, che solitari crescono
Vicino al grigio Rovo delle Fate.
Alti e sottili i sorbi accanto al Rovo
– Come le due gemelle al fianco della nonna –
E sul suo capo basso oscuro e grigio, versano in rossi baci,
Dolci a vedersi, le piene bacche.
Allegre le fanciulle formano una catena,
Cingendo a coppie liete un immobile sorbo,
Vanno in dedali ondosi, come uccelli radenti,
Nel canto più felice.
Ma solenne è il silenzio della foschia d’argento
Che assorbe i loro suoni in pace priva d’eco,
E immoto si allunga il pendio nella sera,
E più sognante ancor si fa la notte.
Come note d’allodola cadute a una a una,
Quando l’ombra del falco oscura il bosco aperto,
Tacciono quelle voci, e restano nascoste
Nell’eccitato moto della nuova paura.
Poiché dall’aria intorno e dalla terra erbosa,
Di fra i sorbi del monte e il vecchio Biancospino,
Soffia nei loro cuori un Potere incantato,
E, allacciate, sull’erba, si lasciano cadere.
Silenziose si piegano, stringendosi vicine,
Le belle braccia gettano attorno al bianco collo reclinato,
Invano poi si provano a coprire le braccia,
E ancora si intravede il collo trepidante.
Così avvinte, in ginocchio, con il capo chinato,
Soffici sopra il battito – unico suono umano – veloce dentro i petti,
Odono i lievi passi della schiera fatata.
Silenziosa si aggira, come un fiume nell’aria.
Nessuna che alzi un grido, o dica una preghiera,
Ma angoscioso è il terrore delle tre ammutolite
Che sentono Anna Grace trascinata lontano,
E le potenze oscure non osano guardare.
Si impigliano alle trecce i boccoli sfuggenti,
E le ciocche ricadono, e il volto si allontana.
Sentono le sue braccia staccarsi dalle loro, che la malia imprigiona,
Ma non possono alzare lo sguardo per capire:
Sui loro sensi ottusi l’incantesimo preme
Tutta la notte d’ansia e gelido stupore,
paura o sorpresa apre gli occhi tremanti,
O le membra può alzare dal suolo freddo e duro,
Fin che il mondo, girando, svela la sua rugiada,
E le montagne arcane e i rivi nelle valli,
Quando il chiarore giallo dello spuntar del giorno
Scioglie le nebbie e insieme dissolve quell’incanto.
Corrono allora, pallide, veloci, a perdifiato,
Per narrare agli amici il triste fatto, invano…
Entro un anno ed un giorno muoiono le fanciulle.
E nessuno rivide l’infelice Anna Grace.
Ninna Nanna dei folletti
Dolce piccino!
T’abbraccia una culla d’oro
E soffice ti avvolge una bianca
coltre.
Veglierò sul tuo sonno in una ariosa
dimora
Ove alberi frondosi si muovono al
vento.
Shuhin sho la lo lo.
Quando le madri
languono con il cuore spezzato,
Quando le giovani spose sono divise
dai loro compagni,
Ah! certo non pensano, abbandonate e
affrante,
Che piangono un folletto consumato
dal tempo.
Shuhin sho la lo lo.
Nelle nostre magiche
sale scintillanti
Piedi leggeri danzano bianchi come la
neve;
Fanciulle rapite, regine dei
folletti,
E re e guerrieri, una aerea schiera
fatata.
Shuhin sho la lo lo.
Riposa piccino! Ti
amo teneramente
Quasi come t’ama la tua madre
mortale,
Il destriero più veloce e più fiero è
il nostro
Che si muove dove il calpestio della
schiera è più forte.
Shuhin sho la lo lo.
Riposa piccino!
perché presto il tuo sonno
Svanir… alle note della musica
incantata.
Veglierò sul tuo sonno in una ariosa
dimora
Ove alberi frondosi si muovono al
vento.
Shuhin sho la lolo.
Il fanciullo rapito
[di W. B. Yeats]
Laggiù dove i
monti rocciosi
Di Sleuth Wood si tuffano nel lago,
Laggiù si stende un’isola fronzuta
Dove gli aironi svegliano, sbattendo
Le ali, i
sonnolenti topi d’acqua;
Laggiù abbiamo nascosto i nostri tini
Fatati, ricolmi delle bacche e delle
Più rosse ciliege rubate.
Vieni, Oh fanciullo umano!
Vieni all’acque e nella landa
Con una fata, mano nella mano,
Perché‚ nel mondo vi sono più lacrime
Di quanto tu non potrai mai comprendere.
Laggiù dove l’onda
del chiar di luna risveglia
Riflessi luminosi nelle grigie e
opache
Sabbie, lontano, là presso la lontana
Rosses, tessendo noi danziamo
Tutta la notte le più antiche danze,
Intrecciando le mani e intrecciando gli sguardi
Finché la luna non
abbia preso il volo;
E avanti e indietro balziamo
E inseguiamo le bolle spumeggianti,
Mentre il mondo è ricolmo di pene
E dorme un sonno ansioso.
Vieni, Oh
fanciullo umano!
Vieni all’acque e nella landa
Con una fata, mano nella mano,
Perché nel mondo
vi sono più lacrime
Di quanto tu non potrai mai
comprendere.
Dove l’acqua zampilla, vagabonda,
Dalle colline sopra Glen-Car
Nei laghetti fra i salici
Dove a stento una
stella potrebbe
Bagnarsi, cerchiamo le trote assopite
E bisbigliando ai loro orecchi
doniamo
Ad esse sogni inquieti
Lievemente sporgendoci
Dalle felci che versano
Le loro lacrime sui giovani ruscelli.
Vieni, Oh fanciullo umano!
Vieni all’acque e nella landa
Con una fata, mano nella mano,
Perché nel mondo vi sono più lacrime
Di quanto tu non potrai mai
comprendere.
E’ con noi che egli viene,
Il fanciullo dall’occhio solenne:
Mai più potrà udire i muggiti
Dei vitelli sui tepidi pendii
O la teiera sul focolare
Cantargli la pace nel petto,
N‚ vedere i sorci
bruni
Che corrono attorno alla madia.
Perché egli viene, il fanciullo
umano,
Viene all’acque e nella landa
Con una fata mano nella mano,
Da un mondo in cui vi sono più lacrime
Di quanto egli potrà mai comprendere.
I folletti
Lassù sulle cime
ventose,
Laggiù nelle valli di giunchi,
Nessuno osa andare a cacciare
Per tema dei piccoli ometti.
Buona gente,
piccola gente,
Che si raccoglie a frotte,
Verde la giacca, rosso il berretto,
E bianca la penna del gufo!
Lungo le spiagge
rocciose
Alcuni hanno posto dimora,
Per cibo frittelle croccanti
Di gialla schiuma del mare;
Alcuni in mezzo
alle canne
Dei neri laghi fra i monti,
Ranocchi per cani da guardia
Tutta la notte a vegliare.
In vetta all’alta
collina
Il vecchio re sta seduto;
E’ vecchio oramai ed è grigio,
Lo spirito arguto ha smarrito.
Su un ponte di
pallida nebbia
Columbkill attraversa,
Nei suoi nobili viaggi
Da Slieveleague a Rosses;
O sale fra magici suoni
In fredde nottate
di stelle,
La regina l’attende alla mensa
Delle luci allegre del Nord.
Per sette lunghi
anni han rapito
La piccola Bridget, e quando
Alla valle essa fece ritorno
Gli amici eran tutti partiti.
Leggeri, essi
l’han riportata nei monti,
Fra l’oscurità e il chiarore
dell’alba:
Credevano stesse dormendo,
Ma per il dolore era morta.
Da allora essi
l’han custodita
Là nel profondo del lago,
Su un letto di foglie di iris,
In attesa che si risvegliasse.
Sulle scoscese
colline
Fra spoglie distese di torba,
Il biancospino han cresciuto,
Per rallegrare lo sguardo.
E se dispettoso qualcuno
Osasse estirpare gli arbusti,
Ne avrebbe le spine pungenti
Nel proprio letto la notte.
Lassù sulle cime
ventose,
Laggiù nelle valli di giunchi,
Nessuno osa andare a cacciare
Per tema dei piccoli ometti.
Buona gente, piccola gente,
Che si raccoglie a frotte,
Verde la giacca, rosso il berretto,
E bianca la penna del gufo!
Cusheen Loo
Dormi, piccino!
Che le mormoranti fronde
Il vento estivo con l’alito confonde,
E dolci note la malia diffonde,
In cerchio attorno a noi.
Dormi! Che i
piangenti fiori han versato
Le lacrime fragranti sul tuo capo,
La voce dell’amore il tuo sonno ha
cullato,
E il seno della mamma è il tuo
cuscino.
Dormi, piccino!
Stanco è trascorso
quel tempo passato
Da quando in questa casa mi han
portato,
Negli allegri saloni il banchetto è
dorato,
E fra le mura voci gaie suonano.
Dormi piccino!
Numerose fanciulle
con fiorenti spose
Hanno dimora sotto volte ariose,
E bianchi vecchi siedon, con le facce
rugose,
E molte dame che l’età ha curvato.
Dormi piccino!
Oh! Tu che questo
triste canto ascolti,
A chi mi piange reca i miei lamenti.
Che l’arma dalla bianca lama porti:
E svanir… al suo guizzo la malia.
Dormi piccino!
Fa’ in fretta! Che il sole di doman levando
Vedrà rinnovato per me l’odiato incanto;
N‚ questa casa lascerà fin quando
Il mio cuore avvizzito lascerà la vita.
Dormi, piccino!
Dormi, piccino! Che le mormoranti fronde
Il vento estivo con l’alito confonde,
E dolci note la malia diffonde,
In cerchio attorno a noi.
Si crede che questa canzone sia stata cantata da una giovane sposa trattenuta con la forza in uno di quei forti, tanto comuni in Irlanda, che costituiscono un luogo di ritrovo prediletto dai folletti. Con il pretesto di far addormentare il suo piccolo, la donna s’era allontanata verso il limite estremo del forte e aveva rivolto la sua melodia a una giovane che aveva scorto a breve distanza, chiedendole di informare il marito della sua condizione e di pregarlo di portare il pugnale per dissolvere l’incantesimo.
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